Gabriele ( parte prima)

 

Gabriele è nato sull’acqua e l’acqua ha sempre avuto una parte importante nella sua vita: l’acqua lenta dei canali e delle lanche del delta del Po, dov’è nato: l’acqua fangosa e tiepida delle risaie del vercellese, dove è cresciuto; l’acqua salata e tempestosa del mare sul quale ha passato due anni della sua vita come marinaio, l’acqua calma e trasparente del lago sul quale abbiamo vissuto insieme per tutta la nostra vita fino ad oggi.

 Quando poteva ancora raccontare, lui che di parole non è mai stato troppo prodigo, nei suoi racconti  dava all’acqua un ruolo centrale: prima di tutte, quella dell’alluvione del ’51, quando la piena del Po esondò fino al canal Bianco che fronteggiava la sua casa natale. L’acqua salì fino al tetto della piccola casa colonica nella quale viveva la sua famiglia, mamma Maria , papà Enrico, il Paròn, il nonno Albino, lui con i fratelli di poco maggiori, le sorelle ‘’grandi’’ che erano lontane, a servizio nella città di Milano. Gabriele ricordava con profonda afflizione la paura di quel tragico episodio: l’esodo notturno sulla barca che solcava la campagna già allagata, l’abbandono della cagna Bobi, che si rifugiò sul tetto  e che venne ritrovata  affamata e indenne dopo qualche giorno, quando si poté tornare a vedere gli effetti dell’allagamento. Abbandonarono quella casetta, proprio per la devastazione che la piena aveva portato nel piccolo podere e per il periodo di forzato abbandono dell’attività di pesca che era la fonte del sostentamento della numerosa  famiglia, insieme al lavoro di cantoniere del papà che dava loro da vivere.  Di quel periodo Gabriele conservava qualche ricordo: le patate americane appese alle travi del tetto, la mamma che andava al mercato di Adria a vendere le galline e le oche che allevava nel cortile,  con due grandi ceste appese alla bicicletta; i giochi nel canale davanti a casa ma anche il ricordo del fratellino Albino, che a poco più di tre anni vi era caduto dentro, annegando  nell’acqua bassa. Anche quell’acqua tornava nei suoi sogni di adulto, quando si lamentava nel sonno e si svegliava di soprassalto, cercando subito uno spiraglio di luce, perché il buio assoluto era per lui una fonte di angoscia e gli creava un’ansia che non gli permetteva di riprendere sonno. La pesca era una delle sue passioni fin da bambino: seguiva il papà nelle sue uscite per rifornire di anguille e carpe il ‘’burcio’’ che era una specie di vivaio nel quale il pesce si manteneva vivo fino ala consegna dei compratori. Mio suocero è sempre stato un uomo ruvido, di pochissime parole e di grande intransigenza, che era emigrato in Libia o in Etiopia per un guadagno meno gramo di quello garantito dalla terra magra del Polesine, pur di mantenere quella sua numerosa famiglia, di  11 persone, figli e figlie nati a scadenze regolari con i suoi rientri in patria, alcuni dei quali morti prematuramente; immagino che il piccolo Gabriele, terz’ultimo fra i nati, ma ultimo a sopravvivere, passasse quelle ore con il padre in un silenzio quasi totale: il sole dardeggiante della Bassa, l’acqua pigra delle Valli con le sue sfumature verdastre, lo sguardo fisso sulla rete o la grande bilancia che si alzava grondante acqua e guizzante delle contorsioni delle creature prigioniere, lui non lo avrebbe mai dimenticato.  Aveva sei anni quando l’alluvione sconvolse la sua vita, portandolo a vivere da evacuato nella periferia di Vercelli, dopo qualche peregrinazione in varie località d’Italia, sempre separato dai genitori o dai fratelli, riviveva quel periodo come una parentesi di grande sofferenza emotiva che esacerbava gli aspetti più spigolosi di un carattere già ribelle. Penso che proprio per sfuggire alle mortificazioni della sua condizione di sfollato abbia cercato sempre di essere bravo in tutto quello che faceva, con il continuo timore di non essere apprezzato, di venire sottovalutato. Per questo andava a giocare a pallone con rabbia e grinta tali da garantirgli un ruolo ‘’ringhioso’’ nelle difese delle giovanili della Pro Vercelli e andava a pescare nelle risaie o nella corrente del Sesia, ancora acqua, ancora fiumi, anche se meno imponenti e pericolosi del grande Po della sua infanzia.


 

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